Solitamente la radice è simbolo di profondità e fermezza. Ciò che è radicato è ciò che affonda nel terreno e tiene solida la pianta. Nei risguardi di questo libro sono disegnate radici che non sono ancorate alla terra ma crescono e si estendono nell’instabilità dell’acquitrino. Sono radici anche loro ma, a differenza di altre, sono esposte all’incertezza dell’acqua .
Queste radici dicono già qualcosa del libro. Tra le pagine non troverai la risolutezza delle risposte ma l’evanescenza delle domande e la tensione che le ispira. Sui fogli non incontrerai legami che si abbarbicano per inerzia ma intrecci che si costruiscono e si tengono nella trasformazione.
Davide Calì racconta le emozioni e i sentimenti che nascono in un’esperienza di accoglienza familiare, attraverso gli occhi grandi di Boris ed i suoi smisurati interrogativi. “Quanto uguali sono le persone a cui ci sentiamo uguali?” “Quanto uguali a noi devono essere le persone alle quali voler bene?” “Forse quelli uguali a noi sono semplicemente coloro a cui vogliamo bene e che ce ne vogliono?” L’autore di fronte a questioni così grandi e delicate insinua dubbi e punti di domanda, lasciando a chi legge il compito di tracciare i propri punti fermi.
Lo sguardo dell’autore si poggia sui due genitori e nelle prime pagine con pudore li racconta. Ciò che per loro è davvero importante è protetto e svelato all’inizio della storia grazie ai ‘poco importava’ o al ‘non fecero troppo caso’. I loro pensieri sono scritti sempre senza enfasi, semplici e profondi, dicono di un amore che non implora, non mente e non incatena. I loro messaggi, quando Boris si allontanerà, saranno appesi agli alberi, tenuti nella delicatezza del vetro, prima di diventare germogli di consapevolezze nuove.
Leggi e ti addentri nel cuore del libro attraversando una doppia pagina, seguendo i pensieri di Boris. Da questo momento in poi saranno i suoi sentimenti ad orientare il racconto, sarà la sua ricerca di un luogo a cui appartenere a farti voltare pagina. A guidare Boris c’è l’odore salmastro di una palude e quello profumato di una casa; Marco Somà riesce a raccontare questa nostalgia di casa anche nei momenti più faticosi e dolorosi, come quando arrivano sui fogli, una palude che trasuda dal pavimento o uno specchio d’acqua che sembra un coperchio sigillato.
I dettagli, la delicatezza del segno dell’illustratore fanno eco alla misura delle parole adoperate dallo scrittore nel raccontare una storia così intensa. Il filo d’acqua disegnato come un confine che unisce e separa, i pesci che si confondono con le foglie e gli arbusti che prendono le fattezze di animali, sono segni di diversità e vicinanza tra mondi, sono simboli di un’armoniosa e possibile mescolanza. Anche Boris, alla fine del libro, ne diventerà segno: avrà pensieri che attraversano la sua mente come pesciolini e fiori nuovi da curare.
La storia finisce ma non c’è una conclusione, se non un nuovo sorriso sulla faccia di Boris e la voglia di andare.
Il richiamo della palude, Davide Calì e Marco Somà, Kite Edizioni, 2016
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