Vivian Maier non ha lasciato parole dietro di sé. Ha lasciato immagini. Non ci sono taccuini o diari nei suoi scatoloni ma solo pochi appunti, bigliettini, titoli di viaggio, qualche indirizzo. La narrazione di Vivian Maier è frutto della ricerca di John Maloof; quello che sappiamo oggi di lei è ciò che è emerso dalle parole di chi ha incontrato la fotografa-bambinaia. In sintesi, la storia di Vivian Maier non è un racconto in prima persona e un libro su di lei non poteva prescindere da questa circostanza. Cinzia Ghigliano comincia da qui e il titolo, da solo, te lo spiega.
L’autrice affida alla macchina fotografica che Vivian teneva sempre vicino al cuore il compito di raccontare questa storia. Quest’espediente narrativo regala potenza e autorevolezza al racconto. La macchina fotografica, infatti, non è solo la più fedele amica ma è anche l’unico vero testimone dell’incontro tra Vivian Maier e il mondo che raccoglieva. La Rolleiflex quadrata è una macchina particolare perché puoi fotografare tenendola appesa al collo, puoi avere una prospettiva inusuale, dal basso. Le persone ritratte nelle foto non guardavano la macchina fotografica ma Vivian: al suo sguardo rispondevano, mentre la Rolleiflex bloccava la vibrazione di quel momento.
La storia nel libro prende corpo con il segno: ci sono i disegni uguali e diversi del volto di Vivian, sfumature di giallo e di rosa a colorare particolari e la voce narrante raffigurata in quasi tutte le pagine.
L’autrice sceglie tra migliaia di scatti solo poche decine di foto, con queste costruisce un racconto di immagini che non tradisce e non ricopia. Cinzia Ghigliano nei disegni non riproduce le foto di Vivian Maier, le interpreta; scompone e monta in modo nuovo, facendo incontrare sui fogli bambini che non erano nella stessa foto, passanti che non si erano incrociati, una suora bianca e un ragazzo nero a cavallo. A tenerli legati non c’è l’attimo reale in cui è stata scattata la foto ma lo sguardo di Vivian Maier su di loro. A quello sguardo, inquieto e indulgente, Cinzia Ghigliano dedica il suo bellissimo racconto.
Sulle pagine i testi sono asciutti, ci sono poche parole scritte in grassetto per mettere a fuoco gli argomenti più importanti: l’aspetto fiabesco della vicenda (con il meraviglioso C’era una volta con cui inizia il libro), il lavoro di Vivian a contatto con i bambini, le sue regole e i suoi misteri. Ci sono i riferimenti diretti alla fotografia (Ho fotografato Vivian tante volte, Io e lei, Vivian scattava, Clack! ) per svelare la bellezza degli scatti e per raccontare l’arte di fermare l’anima in un’immagine.
<<Collezionista dell’inutile>>, con queste parole una delle persone intervistate da John Maloof descrive Vivian Maier e in questo libro, in fondo, si conferma quella definizione. Quello che ci resta del lavoro di Vivian Maier sono proprio stralci di momenti, sono attimi in cui senti l’incongruenza e la tenerezza, la tragedia e la dolcezza. Sono frammenti di tempo che, come scrive l’autrice, diventano pezzi della nostra memoria e rendono l’inutile, necessario.
Lei VIVIAN MAIER, di Cinzia Ghigliano, Orecchio Acerbo, 2016
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