I silent book non sono libri silenziosi. Prendi questo, per esempio. Lo apri e parte la sua colonna sonora.
Prima puoi solo sentire l’intercedere deciso e lento di chi sta camminando su un pavimento scivoloso e va dritto verso l’acqua. Poi cominci ad avvertire un vociare che si fa sempre più vicino, più forte, più ingombrante. Fino a quando vedi quel fracasso. È lì che ti supera e dalla vasca quasi ti schizza.
A quel punto per ritrovare la quiete c’è solo una strada. Inabissarsi.
Così il bambino si tuffa e mentre lo fa, tu senti l’acqua che copre le orecchie. I suoni cominciano ad arrivare sempre più ovattati, più distanti. Intorno, solo il rumore di due corpi e dei loro respiri nell’acqua.
Quello che accade sottacqua è un silenzioso riconoscersi, fatto di colori delicati, silenzi e sguardi. Distese d’acqua immaginarie, banchi di pesci piccoli come boccioli, coralli e pesci, feroci nelle aspirazioni e mai nelle facce.
Poi, il silenzio più profondo: la meraviglia della balena. Attimi per raccontarsi, con gli occhi dentro gli occhi. Infine, la risalita, per congedarsi dagli abissi, dall’azzurro chiaro, dai pesci e ritornare a galla.
A bordo della vasca tornano le voci, questa volta un po’ più fiacche.
Tutti escono ma folla e bambini vanno in direzioni opposte. E la direzione diventa l’ultimo anello di una catena di opposti su cui si regge il libro. Senza dubbio, il più bello, nuotare il mondo, oppure no.
La piscina, di Ji-Hyeon Lee , Orecchio Acerbo, 2015
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